Lionello Balestrieri
Il 12 settembre 1872 Lionello Arduino Balestrieri nasce a Cetona (SI), in una famiglia di modestissime condizioni economiche, da Torello Balestrieri, muratore cetonese, e Agnese Bassi, di Santa Fiora.
Nel 1886 la famiglia Balestrieri si trasferisce a Roma e Lionello, ormai quattordicenne, si iscrive all’Istituto di Belle Arti: la sua passione per l’arte è già tanto forte da spingerlo a questa scelta nonostante il parere contrario del padre. L’anno successivo la famiglia si trasferisce a Napoli e Lionello si iscrive all’Accademia delle Belle Arti. Nel 1891 lavora per un breve periodo a Palermo, per l’allestimento dell’Esposizione Nazionale, ma già nel 1892 riprende a frequentare l’Accademia, dove era tornato a insegnare Domenico Morelli: l’influenza del maestro fu a lungo fondamentale per la formazione e lo sviluppo della sua personalità artistica. A Napoli conosce anche Filippo Palizzi e Gioacchino Toma.
Forse per seguire un nuovo amore, più verosimilmente per tentare la fortuna artistica nella grande capitale europea, così come molti altri artisti del suo tempo, nel 1894 Lionello si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con il fotografo ed editore di fotografie d’arte Eduardo Fiorillo e con Osvaldo Tofani, illustratore, con il quale presto comincia a collaborare, producendo numerose illustrazioni per feuilletons di grande successo nella Parigi di fine secolo che lo vede vivere da giovane bohémien con alcuni compagni d’accademia e l’inseparabile amico violinista Giuseppe Vannicola.
È del 1896 l’esposizione al Salon des artistes français del dipinto En attendant la gloire, ispirato a una notte bohémienne, che desta l’attenzione della critica parigina per il giovane artista italiano che si ispira alla sua vita reale per volti, ambienti e situazioni, prediligendo i luoghi scarsamente illuminati, generalmente soffitte e atelier con una fioca luce artificiale, le scene crepuscolari o notturne, le atmosfere raccolte e silenziose dal gusto ancora fortemente romantico, i cui contenuti patetici sono accentuati dagli effetti di chiaroscuro.
Nel 1900, dopo un lavoro faticoso e straziante, espone il Beethoven all’Esposizione Universale di Parigi, dove conquista la medaglia d’oro nella sezione italiana. Il successo del Beethoven fu enorme: riprodotto in fotografia – cosa ancora rara a quel tempo – il quadro fu conosciuto e apprezzato in tutta Europa e persino in America. Da allora Balestrieri divenne per tutti, e suo malgrado, “il pittore della musica”, etichetta che lo ossessionò pesantemente negli anni successivi e che offuscò il pregio di altre sue notevoli opere agli occhi della critica internazionale.
Nel 1901 il Beethoven viene inviato a Venezia alla Biennale, e quindi acquistato dal Museo Revoltella di Trieste, dove tuttora è conservato. Grazie alla vendita del Beethoven, Balestrieri con la sua famiglia effettua un viaggio in Italia, a Cetona prima, poi a Napoli, dove visita il suo amato maestro Domenico Morelli, ormai in fin di vita, scena che ritrae nel dipinto Le ultime ore di Domenico Morelli. A Napoli incontra Salvatore di Giacomo, fino ad allora contattato solo per corrispondenza, con il quale stringe una duratura amicizia e un vero e proprio sodalizio artistico.
Spinto dalla volontà di eseguire lui stesso copie fedeli dei suoi quadri, piuttosto che affidare questo compito agli editori che ne acquistavano i diritti, Balestrieri lavora sempre più assiduamente come incisore, producendo interessanti punte secche, acquetinte e acqueforti che ritraggono momenti della vita parigina, scene romantiche, paesaggi, opere a soggetto musicale.
Tra 1901 e 1914 viene nominato Presidente della Società Artisti Italiani a Parigi, espone ripetutamente al Salon des Artistes Français, alla Biennale di Venezia, al Salon de la Gravure en Couleur presso la Galleria Georges Petit in Rue de Sèze a Parigi, alla Promotrice di Napoli, al Musée du Luxembourg e partecipa al Salon Triennal de Beaux-Arts di Bruxelles e alla VI Esposizione Internazionale d’Arte di Barcellona. Nel tempo la sua pittura cambia: nel 1911 intraprende un viaggio in Bretagna, grazie al quale entra in contatto con opere della scuola di Pont-Aven, la cui influenza è forse riscontrabile nello schiarirsi della tavolozza; le opere del pittore diventano chiare, ariose, luminose. Lasciati da parte i soggetti musicali, diventa vivace cronista della vita parigina con opere che stilisticamente rimangono comunque legate al realismo napoletano. Lo scoppio della guerra riconduce Balestrieri in Italia, a Napoli, dove riceve l’incarico di dirigere il Museo d’Arte Industriale e poi l’Istituto di Arte Industriale, come già a suo tempo aveva fatto Domenico Morelli. Dapprima accetta il compito con poco entusiasmo, ma ben presto viene fortemente coinvolto dai problemi organizzativi ed economici della scuola, tanto da avanzare proposte di riforme radicali per l’insegnamento dell’arte e delle discipline pratiche, nonché dell’ambiente artistico napoletano, scontrandosi apertamente con vari esponenti istituzionali e con il personale stesso dell’istituto per affermare i principi dell’impossibilità di gerarchizzare i prodotti dell’arte e della necessità di produrre oggetti al passo con l’evoluzione del gusto estetico avvenuta nel nuovo secolo.
Dal dopoguerra Balestrieri, che aveva incontrato per la prima volta Marinetti all’Esposizione futurista tenutasi alla Galleria Bernheim-Jeune di Parigi nel 1912, comincia a frequentare assiduamente gli ambienti futuristi. Tra gli anni Venti e Trenta partecipa ai numerosi tentativi di istituzionalizzazione del ruolo degli artisti con la creazione di sindacati, associazioni e corporazioni, in massima parte destinati a fallire entro breve tempo dalla loro fondazione. Nel 1919 infatti si dimette dalla XXIII Commissione del Dopoguerra per la riforma dell’insegnamento artistico, profondamente deluso dal clima di immobilismo e dalla mancanza di intraprendenza dei suoi colleghi nell’affrontare i problemi che la Commissione avrebbe dovuto risolvere.
Negli anni ’20, dopo un periodo di abbandono dei pennelli, riprende a esporre alla Biennale veneziana, a Capri frequenta Nomellini e Prampolini, e comincia la produzione di opere futuriste, in totale non più di una decina. Nel 1925 Balestrieri viene nominato Segretario del Sindacato Belle Arti di Napoli e tiene una grande mostra antologica di tutta la sua attività alla Galleria Pesaro di Milano, con un catalogo presentato da Salvatore di Giacomo.
Nel 1928 viene nominato Segretario del Sindacato Artisti Meridionali ed entra a far parte del gruppo degli Ostinati di Napoli: l’allontanamento dal futurismo sembra così essere definitivo, visto che questo gruppo di artisti dichiara di ispirarsi ai valori della tradizione naturalistica meridionale dal Seicento alla Scuola di Posillipo.
Negli anni ’30 partecipa alle mostre organizzate dal Sindacato napoletano, finché nel 1937 lascia la direzione dell’Istituto d’Arte Industriale per la pensione e, dopo la morte della moglie Giuditta nel 1940 e i primi bombardamenti di Napoli nel 1941, Balestrieri torna nella natia Cetona, dove continua a dipingere essenzialmente paesaggi e vedute.
Negli anni ’40 e ’50 espone in varie mostre personali a Firenze, a Montecatini, Chianciano, S. Gimignano. Il 28 ottobre del 1958 muore nella sua casa di Cetona.